CIO’ CHE IL VISIBILE NON CONCEDE
Il 22 giugno presso Alessandra Giannetti Piazza Capranica 94 a Roma si inaugura la mostra fotografica di Gianpaolo Conti “Ciò che il visibile non concede”. L’artista visuale – da sempre impegnato nella fotografia e nelle pratiche digitali oltre che nella regia e l’editing - presenta alcuni suoi lavori a distanza di due anni dalla mostra di via Margutta “My Eyes on the Road”. Due anni intensi e proficui, ci sembra di poter dire, di ampia riflessione, sedimentazione e riconfigurazione dei materiali. L’artista, che precedentemente aveva indagato il tema dell’irrealtà nella realtà urbana, qui si dedica con misurata determinazione e slancio personale ai dettagli più minuti, quasi da leggere in filigrana; all’immagine non convenzionale della metropoli e delle metropoli; a volti e figure percepite e restituite in modo non usuale; a tracce iconiche strappate alla nostalgia del tempo e reinventate alla luce di una densa, soffusa, malinconia. Ciò che nella precedente mostra era segno grafico, reiterazione di uno stilema, intensificazione del colore, immediatezza di approccio, qui diventa ricerca sofisticata sulla credibilità illusoria della profondità di campo, decostruzione della superficie bidimensionale, stratificazione sensoriale ed esperienziale, archivio della memoria, molteplicità di elementi da rimodulare in modo inusuale. La leggerezza orizzontale si trasforma in gioco combinatorio verticale, la danza dei cuori in solitudine sospesa, il rosso esibito in monocromia drammatica e drammatizzazione degli interventi. Partendo dagli scatti fotografici, attraverso il supporto di versioni elettroniche di pennelli, filtri, ingrandimenti ed elaborazioni cromatiche, Conti ci porta dentro il suo mondo remoto e moderno, naturale e artificiale, aperto e ritroso alla captazione. La semplicità immediata e gratificante del primo sguardo non tragga in inganno: le competenze del regista sugli obiettivi e la messa in quadro qui fanno la differenza, perché il processo di avvicinamento alle opere chiede un lavoro dell’occhio a identificare il dettaglio segreto e misterioso e una progressiva adesione empatica a scivolare dentro le risonanze e gli echi che da lontano risuonano sfuggenti. Si guardi “Nel volto di un gorilla” che è insieme rendez-vous con la cultura cinematografica, la natura primordiale, le età dell’uomo, lo sguardo che racconta se stesso, e più sottilmente l’ecosistema e le favelas di Rio de Janeiro; o “In ognuno di noi” che raccoglie contemporaneamente i sanpietrini, dove ogni giorno rischiamo di scivolare con il motorino, allusioni a reticoli funzionali, geometrie di civiltà antiche, forse orientali, e volto dalla palpebre socchiuse, insieme silenzio e sogno. Suggestioni interessanti, l’appuntamento è da non mancare.
Daniela Ceselli critico e docente universitario
Quello che cerco
Quello che cerco nei miei lavori e andare oltre l’immagine reale, cercare cioè l’essenza stessa dell’immagine che colgo, scavare in profondità fino a estrarre gli elementi più nascosti e renderli visibili, molto spesso questo comporta quasi il dissolvimento della cosa fotografata e la trasformazione in altro.
Quello che succede poi è per me sempre una sorpresa. GPC
Presentazione mostra “Insensato”
Roma novembre 2009 Torretta Valadier
Le opere di Gianpaolo Conti, appaiono – oltre che belle – ricche di aspetti interessanti. A volte sembra che l’autore indaghi la dinamica interna della materia: guardandola da vicino, girandola e rigirandola, capovolgendola, attraversandola e provando a restituire allo spettatore la mobilità che intorno all’oggetto è stata sua. Egli dichiara così l’invito a far emergere ciò che il visibile non concede e non sappiamo se consapevolmente o meno – si rivela alla ricerca di un linguaggio: per esempio, da avvertire nella scelta e nella composizione dei singoli fotogrammi digitali, ottenuti su una molteplicità di tempi d’esposizione e attraverso diversi tipi di diaframmi. la ricerca corrisponde al tentativo di dare un senso a tutte le cose; un senso generale, una “logica” per capire o interpretare il mondo. E quest’ultima scaturisce dall’osservazione dei singoli fotogrammi (meravigliosa operazione l’osservazione, che si prende il tempo della scoperta, il tempo di una pesca miracolosa il cui filo è un’emozione), dalla loro elaborazione e ritocco, dalla preferenza accordata ad un accostamento o a una dissonanza. Così, quello che avrebbe potuto essere un controllo punto per punto dell’immagine (ci avevano provato i post-impressionisti), diventa un’espressione libera, persino rispetto al suo autore. Che talvolta guarda le sue stesse produzioni con sorpresa, scoprendo la sua fotografia, e noi la nostra.
Anna Maria Panzera storica dell’arte
Roma novembre 2009 Torretta Valadier
Le opere di Gianpaolo Conti, appaiono – oltre che belle – ricche di aspetti interessanti. A volte sembra che l’autore indaghi la dinamica interna della materia: guardandola da vicino, girandola e rigirandola, capovolgendola, attraversandola e provando a restituire allo spettatore la mobilità che intorno all’oggetto è stata sua. Egli dichiara così l’invito a far emergere ciò che il visibile non concede e non sappiamo se consapevolmente o meno – si rivela alla ricerca di un linguaggio: per esempio, da avvertire nella scelta e nella composizione dei singoli fotogrammi digitali, ottenuti su una molteplicità di tempi d’esposizione e attraverso diversi tipi di diaframmi. la ricerca corrisponde al tentativo di dare un senso a tutte le cose; un senso generale, una “logica” per capire o interpretare il mondo. E quest’ultima scaturisce dall’osservazione dei singoli fotogrammi (meravigliosa operazione l’osservazione, che si prende il tempo della scoperta, il tempo di una pesca miracolosa il cui filo è un’emozione), dalla loro elaborazione e ritocco, dalla preferenza accordata ad un accostamento o a una dissonanza. Così, quello che avrebbe potuto essere un controllo punto per punto dell’immagine (ci avevano provato i post-impressionisti), diventa un’espressione libera, persino rispetto al suo autore. Che talvolta guarda le sue stesse produzioni con sorpresa, scoprendo la sua fotografia, e noi la nostra.
Anna Maria Panzera storica dell’arte
Rosso su rosso stampa su dibond cm 160x60 2013
Colors Can Dance
Ogni volta che mi trovo davanti alle opere di Gianpaolo Conti cado nella
stessa trappola. Vedo il colore vivo venire in avanti mentre il nero,
necessario ingrediente della trama,
diventa sempre più opaco o più distante, quasi fosse l’eroe solitario che, pur
senza morire, si sacrifica per far vivere gli altri. Il nero è la chiave di
tutto. È il nero che rimane indietro ma non è lui che si allontana. È il colore
che cammina verso chi lo guarda, come uno zoom cinematografico. Le opere della
mostra Colors Can Dance sono stampe,
un termine tecnico che non rende giustizia alla loro bellezza, ma che acquista
spessore e fascino nella dialettica stessa dei materiali usati: carta, alluminio,
cotone, resina, plexiglas. Lasciando
tracce è una stampa luminosa dove il nero appare sgranato al massimo dalla
luce di fondo e dove il blu scivola
libero come inchiostro su di un foglio bianchissimo. Cuorleggeri è un puzzle geniale che si nutre dell’arte di strada e
che trasforma il ruvido travertino di una colonna imbrattata in una soffice
sensazione di lana calda. I due Marrakech
-oltre al colore- hanno dentro anche il suono: il suono del suq e di un cielo
rumorosissimo tra il sole e l’oceano. Ogni singola opera di Gianpaolo Conti è
una ricerca in cui lo spettatore stesso ricerca e trova quello di cui ha
bisogno. Rosso su rosso ad esempio
lascia senza parole e sfido chiunque a non vederci -magari- le proprie palpebre
un attimo prima del risveglio.
Emanuele Santi scrittore e giornalista
Emanuele Santi scrittore e giornalista
Una ricerca ricca e coraggiosa
Il tentativo di creare opere d’arte estraendole da soggetti reali attraverso un processo di elaborazione fotografica, che permetta una trasfigurazione teoricamente totale a partire dall’originale, come è possibile comprendere dal lavoro di Gianpaolo Conti, è al tempo stesso più facile e più difficile rispetto al lavoro di un pittore che si approccia all’opera partendo da un’idea. È più semplice perché non si tratta ovviamente di una creazione ex novo, esiste un soggetto non bisogna inventarlo, semmai occorre sceglierlo e naturalmente anche qui il lavoro dell’artista è presente perché si serve della sua sensibilità per trovare tra i tanti il soggetto più stimolante. Al tempo stesso è però più difficile perché quel soggetto che è una testimonianza della realtà materiale non rappresenta in quanto tale opera d’arte, lo deve diventare, - naturalmente avendo una connotazione figurativa determinata non è accostabile neanche all’operazione simile che deve compiere lo scultore davanti al blocco di marmo - ma nel farlo costringe l’artista a doversi liberare delle sue sembianze originarie. In quanto tali esse sono però vincoli potenti. Si può ipotizzare che in questo senso l’artista può raggiungere il suo scopo quando raggiunge la totale scomparsa di tali sembianze. Ma appunto non servirebbe, o comunque potrebbe anche non essere necessario, violentare il soggetto al punto di renderlo totalmente irriconoscibile quanto di riuscire a far sparire quelle tracce che lo legano alla realtà esterna del conosciuto e del costituito per far comparire al suo posto qualcos’altro che appartenga al linguaggio dell’arte. A questo punto si presenterebbe il problema dell’artista come una sorta di pescatore di perle il quale accostando, tagliando, modificando colori e luci deve riuscire a trovare- creare la sua opera-perla. In questo, a noi sembra, tutta la ricerca ricca e coraggiosa di Gianpaolo Conti.
Roberto Chimenti architetto e poeta
Il tentativo di creare opere d’arte estraendole da soggetti reali attraverso un processo di elaborazione fotografica, che permetta una trasfigurazione teoricamente totale a partire dall’originale, come è possibile comprendere dal lavoro di Gianpaolo Conti, è al tempo stesso più facile e più difficile rispetto al lavoro di un pittore che si approccia all’opera partendo da un’idea. È più semplice perché non si tratta ovviamente di una creazione ex novo, esiste un soggetto non bisogna inventarlo, semmai occorre sceglierlo e naturalmente anche qui il lavoro dell’artista è presente perché si serve della sua sensibilità per trovare tra i tanti il soggetto più stimolante. Al tempo stesso è però più difficile perché quel soggetto che è una testimonianza della realtà materiale non rappresenta in quanto tale opera d’arte, lo deve diventare, - naturalmente avendo una connotazione figurativa determinata non è accostabile neanche all’operazione simile che deve compiere lo scultore davanti al blocco di marmo - ma nel farlo costringe l’artista a doversi liberare delle sue sembianze originarie. In quanto tali esse sono però vincoli potenti. Si può ipotizzare che in questo senso l’artista può raggiungere il suo scopo quando raggiunge la totale scomparsa di tali sembianze. Ma appunto non servirebbe, o comunque potrebbe anche non essere necessario, violentare il soggetto al punto di renderlo totalmente irriconoscibile quanto di riuscire a far sparire quelle tracce che lo legano alla realtà esterna del conosciuto e del costituito per far comparire al suo posto qualcos’altro che appartenga al linguaggio dell’arte. A questo punto si presenterebbe il problema dell’artista come una sorta di pescatore di perle il quale accostando, tagliando, modificando colori e luci deve riuscire a trovare- creare la sua opera-perla. In questo, a noi sembra, tutta la ricerca ricca e coraggiosa di Gianpaolo Conti.
Roberto Chimenti architetto e poeta
Colors Can Dance
La mostra sembra porsi come emanazione naturale di un’esperienza artistica intrisa di contemporaneità. Fotografo e regista, Conti raccoglie e manipola l’immagine digitale trasformandola metodicamente in uno strumento di indagine sul reale. L’artista osserva un mondo veloce e dinamico in cui, evidentemente, cerca. Cerca l’essenza delle cose e la trova spesso dietro la loro superficie o, meglio ancora, nel loro fluire inarrestabile, che è lo stesso fluire inarrestabile delle immagini. Ne deriva una sorta di trasfigurazione dell’oggetto fotografato, che è altro dall’astrazione pura e semplice. L’immagine rappresentata da Conti, nel divenire mezzo investigativo delle forme del mondo, spesso si dissolve. Il risultato è una realtà, il più delle volte nota e urbana, indagata per fotogrammi che si disciolgono e disfano vertiginosamente.
Colors can Dance è l’esito di una selezione compiuta all’interno della vasta produzione dell’artista, una serie di opere uniformemente congeniate. In ciascuna, infatti, il risultato della ricerca di Gianpaolo Conti ha generato scie di colore vivido e a tratti violento, che destano suggestioni emotive forti e si caricano di grande magnetismo. I lavori, scomposizioni di immagini stampate su dibond, riescono, pur nella loro inconsistenza, a suggerire la presenza di una forma anche là dove la forma è scomparsa, perché riescono a trasmetterne la vita tramite traiettorie dinamiche, energiche e brillanti di colore.
Inaugurazione: venerdì 10 maggio 2013 alle 19.00
Galleria Frammenti D'Arte
via Paola, 23 - Roma
Valentina Liberti
Colors can Dance è l’esito di una selezione compiuta all’interno della vasta produzione dell’artista, una serie di opere uniformemente congeniate. In ciascuna, infatti, il risultato della ricerca di Gianpaolo Conti ha generato scie di colore vivido e a tratti violento, che destano suggestioni emotive forti e si caricano di grande magnetismo. I lavori, scomposizioni di immagini stampate su dibond, riescono, pur nella loro inconsistenza, a suggerire la presenza di una forma anche là dove la forma è scomparsa, perché riescono a trasmetterne la vita tramite traiettorie dinamiche, energiche e brillanti di colore.
Inaugurazione: venerdì 10 maggio 2013 alle 19.00
Galleria Frammenti D'Arte
via Paola, 23 - Roma
Valentina Liberti